Di Cie in Cie. Una delegazione si aggira per l’Italia

Una delegazione si aggira per l’Italia. Viene dalla Tunisia e a differenza di uno spettro ben più famoso, quello che si aggirava tempo fa per l’Europa,  è lei a cercare fantasmi. Sono due mamme e quattro papà che cercano i loro figli diventati fantasmi da mesi nel loro viaggio verso l’Europa.

680 è il numero che viene dato da questa delegazione: 680 ragazzi che dopo aver preso una barca nei mesi subito successivi alla rivoluzione tunisina non si sa che fine abbiano fatto. Sono morti? Vivi? Catturati in un sistema detentivo dalle politiche europee di controllo e governo delle migrazioni?

Diciamolo pure: sono fantasmi, resi tali da queste politiche. Cercati da una delegazione di genitori che da qualche giorno è a Palermo e ha iniziato un giro per i Centri di identificazione ed espulsione italiani, mentre in un video, (http://leventicinqueundici.noblogs.org/) dopo la visita al Cie di Trapani, dice a tutte e a tutti noi lo shock che ha provato nel vedere come si trattano gli esseri umani. “Un uomo mi ha raccontato che un poliziotto italiano gli ha rotto la bocca con un calcio. Perché fai così? Spiegacelo? Perché? Se noi non siamo uomini, allora moriamo tutti e lasciamo l’Europa, sola, libera. Il governo italiano non ci dà la possibilità di cercare i miei ragazzi. Tutte le possibilità sono bloccate. Il perché non lo so. Se un uomo italiano ha un incidente in Tunisia, la Tunisia lo dichiara, si espone. Noi qui in Italia siamo diecimila e sembriamo dei cani, delle vacche”.

Cie per Cie è quello che questa delegazione vuole fare, mentre cercherà ad  Agrigento di confrontare con la questura le impronte dei propri figli. E mentre loro cercano fantasmi e ci dicono il loro sconcerto nel trovare ragazzi tunisini ridotti a “cani e vacche”, le istituzioni italiane, abituate a scambiarsi impronte con tutti i consolati dei cosiddetti “paesi terzi” quando si tratta di espellere, continuano a non rispondere alla domanda di collaborazione che tutte le famiglie dei “fantasmi” avevano rivolto loro già mesi fa, prima di mandare in Italia questa delegazione: un confronto delle impronte. Ritrovare i fantasmi, e ridargli vita o morte, come solitamente si fa con gli esseri umani.

Certo, non c’è alcuno stupore nel vedere che le istituzioni italiane ed europee abituate a trattare come “cani e vacche” i migranti o a renderli fantasmi – che siano vivi o morti, al lavoro regolare o irregolare, con o senza permesso di soggiorno – rimangano mute dinanzi a una richiesta così sconcertante.

Lo stupore, invece, ha a che fare proprio con questa richiesta: per la prima volta dei genitori organizzati vengono qui e pretendono che si riconoscano come loro figli dei fantasmi. Li segue, a ruota, la lettera (http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/6392/) che il sottosegretario del ministero per le Migrazioni tunisino indirizza al governo italiano per proporgli “di intraprendere un’esperienza che porti alla costruzione di un prototipo di rapporti virtuosi sulle migrazioni ”, iniziando proprio dalla questione dei dispersi, diventata prioritaria per la Tunisia “perché dobbiamo stabilire che la loro vita conta quanto quella di tutti gli altri, e che non possiamo essere una democrazia senza mettere a disposizione tutti i nostri mezzi per stabilirlo”.

Uno stupore, perché è un’assoluta novità. Non più la voce di denuncia di alcuni antirazzisti collocati da questa parte della sponda, sempre più isolati e comunque inascoltati, ma parole che dall’altra sponda arrivano qui, chiare nella loro risolutezza a farla finita con le politiche dei fantasmi. E mentre la delegazione continuerà a aggirarsi per l’Italia, forse tutte noi e tutti noi dovremmo lasciarci risvegliare da quello stupore.

“Da una sponda all’altra: vite che contano” è la campagna che come collettivo di donne italiane e tunisine stiamo portando avanti insieme alle famiglie tunisine dei migranti dispersi. Continueremo a seguire la delegazione delle famiglie e vi continueremo a informare.

Le Venticinqueundici

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