Il giorno 20 ottobre 2017 le associazioni della Casa in Movimento (Laboratorio contro la guerra infinita e Associazione Cultura Popolare) hanno firmato un contratto di affitto degli spazi di via Neruda 5 in cui hanno sede da ben undici anni. Si è trattato dell’ultimo capitolo di un conflitto con l’amministrazione comunale di Cologno Monzese che si è presentata ad aprile 2017 con una richiesta di “rilascio dei locali, da cose e persone” entro la fine del mese e che ha visto arrivare, nella sua fase più acuta, persino un’ordinanza di sfratto. Per sei anni, dunque, pagheremo un affitto di circa 4.800 euro all’anno; oltre a ciò, ci sono circa 22 mila euro di arretrati da saldare nell’arco di 24 mesi.


Abbiamo accettato cifre così alte, e che riteniamo ingiuste, dopo una lunga riflessione: Cologno merita uno spazio come la Casa in Movimento, soprattutto in un momento storico in cui la paura e i politici che la spargono a piene mani sembrano avere ogni giorno più consenso. Nella Casa entra chiunque, italiani e migranti; nella Casa le donne sono protagoniste reali e non relegate a ruoli secondari o di comparse; i bambini possono trovare uno spazio accogliente in cui giocare; gli anziani possono trasmettere alle nuove generazioni i loro saperi; i giovani possono stare insieme senza per forza spendere soldi. La Casa è cultura, aggregazione, senso critico, incontro e scambio reciproco. È l’antidoto a chi trasforma le città in deserti e ci vuole chiusi in casa e ostili ai nostri vicini. La Casa serve a tutte e tutti. La Casa in Movimento è un bene comune.

Non sarà facile sostenere tutte queste spese: noi attivisti ci siamo auto-tassati, e abbiamo già da quest’estate ricevuto moltissime donazioni a sostegno della causa perché di certo senza queste, naturalmente da ognuno secondo le sue possibilità, non sarebbe possibile andare avanti. Il sostegno che si è mosso dal basso e in maniera immediata ci fa credere ancora di più in questo progetto. Siamo lavoratrici e lavoratori, pensionati/e, disoccupati/e, studenti e non abbiamo alle spalle partiti, sindacati, organizzazioni religiose, istituzioni o chissà che altro. Siamo noi e le persone che amano e frequentano lo spazio a doverci prendere cura della Casa.

Siamo più compatti e determinati che mai: se pensavano di indebolirci o abbassarci il morale, hanno sbagliato i loro calcoli. Pur nell’incertezza e nella fatica del rischio di perdere la Casa, ci siamo fatti forza e abbiamo ragionato e agito insieme, nonostante siamo un gruppo di persone diverse per età, esperienza, provenienza geografica. Da noi non vale dire “prima gli italiani” o “prima i lombardi”. Da noi la lotta di uno è la lotta di tutti. Da noi non ci sono capi: il pensiero di ognuno è importante e si decide quando tutti insieme arriviamo all’accordo. Siamo una strana carovana sempre in movimento, in cui si parte e si torna insieme.

Per questo abbiamo deciso di non lasciare la Casa. Ma di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, per raddoppiare il nostro impegno e il nostro impatto. Perché le città sono di chi le abita, non di chi ha la ventura di vincere un’elezione. Abbiamo vinto, la Casa resiste!


Tuttavia, siamo anche indignati per come la nostra controparte ha affrontato e comunicato le varie fasi della controversia. Tra mezze insinuazioni e vere e proprie manipolazioni della realtà, ha detto o suggerito informazioni non sempre corrispondenti al vero. Vogliamo ora prendere la parola e rimettere in fila un po’ di cose.

  • Non siamo mai stati “abusivi”: entrammo nello spazio nel 2006 in accordo con l’amministrazione comunale di allora; un verbale di consegna delle chiavi lo dimostra. Nessuna occupazione e nessuna “illegalità” da sanare.

  • Il fatto di non avere avuto un contratto di affitto valido fino ad oggi non è dipeso da noi. Quando nel 2013 cambiarono le regole di concessione degli spazi comunali alle associazioni, iniziammo una trattativa per far riconoscere il valore sociale delle nostre attività e negoziare un affitto accessibile. All’inizio del 2014 le trattative si interruppero senza una ragione chiara. E anche l’attuale maggioranza, se aveva così tanta fretta di risolvere l’irregolarità, non si capisce perché abbia aspettato quasi due anni dal suo insediamento prima di contattarci.

  • Non siamo dei “privilegiati”: non abbiamo avuto lo spazio perché “amici” o “parenti” delle passate amministrazioni. Lo ottenemmo perché, con la mobilitazione dal basso, riuscimmo a dimostrare che un buon numero di abitanti della nostra città rivendicava uno spazio in cui riunirsi, discutere, fare attività con e per il territorio. Nel corso degli anni, poi, non sono mancati i motivi di conflitto anche con le amministrazioni di centro-sinistra. La Casa è senza padrini e senza padroni.

  • È stata questa amministrazione a obbligarci al ricorso al TAR. Dopo il secondo incontro, a inizio maggio, ci aveva promesso di trasmetterci per iscritto le cifre di affitto e arretrati. Al loro posto arriva la richiesta di riacquisizione dei locali a fronte, a detta dell’Amministrazione Comunale, della nostra dichiarata impossibilità a sostenere gli oneri, contraddetta dalle nostre ripetute richieste (scritte, protocollate e consultabili) di arrivare alla sottoscrizione di un regolare contratto. E a fine giugno, arriva un’ordinanza di sfratto, ovvero esecuzione forzata con intervento della forza pubblica. L’unico modo che avevamo per non perdere la sede, indicato dall’Amministrazione anche in calce all’ordinanza di sfratto, era il ricorso al TAR, costato soldi e fatica.

  • L’amministrazione ha stanziato circa 9.500 euro per pagare un avvocato (poco meno di due anni di affitto). Soldi nostri, dei cittadini. L’avvocato è un consigliere regionale della Lega Nord (lo stesso partito del sindaco), nonché ex presidente della provincia di Lodi, dove ha lo studio. I soldi spesi dalla giunta sarebbero stati risparmiati se da subito ci si fosse seduti intorno a un tavolo, invece di cercare di sfrattarci a tutti i costi.

  • Nascondendosi dietro le leggi e parole come “trasparenza” e “legalità”, infatti, la nostra controparte ha mostrato spesso una scarsa volontà di dialogo. All’inizio di tutto, ad aprile, invece di chiamarci e fissare un incontro di chiarimento, decise da subito di intimarci il rilascio dei locali in meno di due settimane. Poi venne l’ordinanza di sfratto, infine nelle ultime settimane venne la chiusura totale sull’ammontare degli arretrati: abbiamo cercato di negoziare, ma non c’è stato verso di ottenere aperture su questo fronte.

  • Non trattare sugli arretrati risponde a una precisa volontà politica: chiudere l’esperienza della Casa in Movimento, che appartiene a una parte politica diversa da quella dell’attuale maggioranza che governa Cologno. Noi contestammo Salvini quando venne a Cologno per chiudere la campagna elettorale del sindaco Rocchi; noi ci siamo opposti, dentro il Comitato 16 marzo, alla chiusura del Centro interculturale delle donne e del Centro di lingua e cultura italiana per cittadini stranieri; noi, insieme a tantissime altre persone, nel giugno 2017 abbiamo raccolto firme per togliere il patrocinio del comune a un concerto-comizio di Povia, organizzato da un’associazione-satellite del gruppo neo-nazista Lealtà e azione. Noi abbiamo condiviso i comunicati sindacali dei lavoratori e delle lavoratrici del Comune di Cologno. Noi siamo contro la guerra tra i poveri e la criminalizzazione dei migranti, abbiamo una visione radicalmente diversa di città e relazioni tra persone. Per tutte queste ragioni abbiamo avuto davanti, fin da subito e fino a quando non costretti dal TAR, un muro di ostilità.


Ma abbiamo resistito e, al prezzo di decisioni difficili, ci siamo adattati a una situazione sfavorevole. Per continuare ad esserci e rappresentare un’alternativa quanto mai necessaria.

Per questo ci siamo accollati l’enorme sforzo economico: come unico modo per mantenere la Casa, ma anche come forma di resistenza e di immaginazione di pratiche diverse. I soldi non per comprare e consumare, ma come investimento di desideri.

In tutti questi mesi la Casa ha continuato e ampliato le proprie attività: una scuola di italiano per donne, la scuola di arabo per ragazzi e ragazze di seconda generazione, un doposcuola autogestito per affrontare insieme i compiti e il diritto allo studio, laboratori per bambini, serate di presentazione di libri, incontri, dibattiti, momenti di autoformazione politica per comprendere meglio il presente, baratti e gruppi di acquisto solidale come nuovi modelli di relazione con l’economia, collettivi artistici e ora spazi nei quali ci si prende cura della salute delle donne (di tutte le donne) e si costruisce consapevolezza e prevenzione, collaborazioni con le scuole del territorio, in futuro una sartoria popolare, una libreria popolare e tanti altri progetti ancora.

Questo è il nostro cuore e il nostro desiderio, continuare a costruire relazioni nella città più giuste, più umane e solidali, che non escludono e che danno gambe per marciare a desideri e sogni.

Sogna, sostieni, partecipa!

Il collettivo della Casa in Movimento


PS: Vi aspettiamo per parlare insieme della nuova situazione domenica 5 novembre alle 18.00. A seguire proiezione del video “Il quartiere che vorrei” realizzato da noi durante la festa di S. Giuliano e aperitivo mangereccio di sostegno. Per finire… vi raccontiamo le iniziative di quest’anno, alcune già partite e altre
in attesa di cominciare.