Da: il manifesto del 6/6/2010
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di Vittorio Arrigoni – GAZA CITY
PACIFISTI AL TIMONE
Il mare, la via più naturale per raggiungere la Palestina
La genesi del Free Gaza Movement
Non avevo mai condotto una imbarcazione in vita mia prima dell'agosto 2008, quando impegnati nella prima traversata del mediterraneo in direzione di Gaza, resosi indisponibile il capitano libanese, dovetti improvvisarmi timoniere per condurre la Free Gaza dentro il porto di Creta. Quella missione si concluse con successo il 23 dello stesso mese: una cinquantina di uomini e donne provenienti da 18 differenti paesi riuscirono a sbarcare nella Striscia dimostrando come gente comune determinata e organizzata può giocare ruoli chiave nella storia. Le biografie dei passeggeri di allora la dicevano lunga sulla eterogeneità dell'umanità imbarcata: c'erano suore cattoliche, ebrei sopravvissuti all'olocausto, anziani palestinesi vittime della diaspora, giornalisti, avvocati, ingegneri, operai, dottori, insegnanti e attivisti per i diritti umani.
La genesi del Free Gaza Movement ebbe luogo una notte del 2005 in un pub australiano dove riuniti un gruppo di attivisti dell'Ism a cui Israele negava l'accesso in Palestina partorirono il sogno: raggiungere Gaza non più via terra vincolati dai lasciapassare delle autorità israeliane ed egiziane, ma via mare.Un rotta di navigazione mai intrapresa prima, dal porto di Larnaca passando per acque cipriote sino a quelle internazionali quindi sopra quel tratto di mare che le leggi internazionali sanciscono essere a sovranità palestinese. Gaza era è lì appena oltre il mediterraneo, ma pareva che nessuno fino ad allora avesse mai pensato di raggiungerla nella maniera più naturale: navigando. Ben presto il difficile si rivela non essere raddrizzare l'uovo di Colombo, ma covarlo. Due anni di paziente raccolta fondi ci permisero di acquistare due pescherecci di legno. Lasciai l'Italia a fine giugno 2008 per Atene. Da lì, venni segretamente condotto in un'isoletta di pescatori dell'arcipelago greco della quale ignorai nome e locazione geografica sino alla vigilia della partenza.
Nel più totale anonimato e senza contatti esterni per timore di sabotaggi da parte dei servizi segreti israeliani, fra flebili speranze e giustificati timori, lavorai alla messa a punto di quella che sarà poi ribattezzata Free Gaza, un peschereccio di una trentina d'anni che dotammo di sofisticate apparecchiature per la comunicazione satellitare. Dopo una settimana di navigazione, obbligati a diverse tappe fra Grecia, Creta e Cipro per rimediare ai continui guasti alle nostre barche, il 21 agosto 2008 salpammo per l'ultima volta da Larnaca diretti a Gaza. Impegnati nell'ultimo sforzo, ci lasciamo alle spalle le fatiche di mesi di preparazione e le minacce di morte che per alcuni di noi risuonavano continuamente sui cellulari come telefonate anonime. Due giorni dopo migliaia di palestinesi si riversarono al porto per dare il benvenuto alle prime barche internazionali dal 1967. I pescatori palestinesi che si aspettavano due fiammanti yachts, constatando che stavamo a malapena a galla su due bagnarole, tali e quali i loro vecchi pescherecci in legno, piansero lacrime di commozione. La stessa emozione che ha provato l'anno scorso Tun Dr. Mahathir bin Mohamad, ex primo ministro malese, nel venire a conoscenza delle nostre missioni, e che ha rappresentato la svolta per il Free Gaza Movement. Con la generosità delle donazioni della ong malese Perdana Global Peace Organization è stato possibile acquistare una nave cargo e due nuove imbarcazioni passeggeri. A queste in breve tempo si sono unite le navi della European Campaign to End the Siege of Gaza, di Insani Yardim Vakfi , di Ship to Gaza Grecia, e di Ship to Gaza Svezia, ed è nata la prima Freedom Flotilla. Della prima missione sono state dismesse le barche ma non gli attivisti: sono loro quelli che hanno subito i pestaggi più feroci da parte dei soldati israeliani nel porto di Ashdod, e poi nelle varie carceri dove sono stati detenuti. Come il palestinese Osama Qashoo, i greci Vaggelis Pissias, professore universitario, e il documentarista Yannis Karipidis, pestati selvaggiamente durante lo sbarco nel porto israeliano.
Paul Larudee, musicista statunitense, anche lui componente storico del Free Gaza, è stato violentemente percosso per essersi rifiutato di fornire le generalità mentre Ken O' Keef, irlandese, secondo capitano nella prima missione, a detta di testimoni stava disteso nella sua cella coperto di sangue. Edy Epster, ebrea 85enne sopravvissuta all'olocausto e coinvolta in tutti i viaggi del Free Gaza Movement non ha ancora potuto coronare il suo sogno: visitare la Striscia prima di morire. Avrà molto presto un'altra chance, poiché flotte di navi cariche di aiuti umanitari continueranno a sfidare la pirateria finché l'assedio non verrà spezzato.
Mi ha scritto Edith Lutz dalla Germania. Dice che stanno per levare sopra il cielo nel mediterraneo la loro «voce ebraica», la prima barca di ebrei in direzione della prigione di Gaza. Per dare una lezione a chi in questi giorni ci apostrofa come pericolosi terroristi. Perché come spiegava Mauro Manno antisionismo non è sinonimo di antiebraismo, ma anelito di libertà dalle catene dell'oppressore disumano.
Restiamo Umani.