ROMA – Dalle interrogazioni presentate al ministro dell’Interno Maroni (che non ha risposto) dai senatori Perduca, Carloni, Chiaromonte e Poretti emerge un quadro inquietante nei CIE sparsi nel territorio italiano, soprattutto se si pensa che, molto probabilmente, situazioni simili a quelle illustrate al titolare del Viminale dai parlamentari, esistono anche in chissà quanti altri CIE.
Pubblichiamo questo articolo apparso su Repubblica, da cui emerge un quadro inquietante sul trattamento riservato agli “ospiti” dei CIE.
Rivolta e repressione. Il 22 aprile, giovedì di Pasqua, a Parlamento chiuso, il ministero emette un decreto con cui la ex caserma è trasformata in CIE. Le condizioni di vita nella tendopoli, che erano già molto dure, diventano drammatiche. La senatrice Carloni riesce a entrare nel centro il 23. Riscontra circostanze “gravissime” e rivolge al presidente Schifani un appello perché sia organizzata una visita della Commissione Diritti Umani del Senato. Nella notte tra il 24 e il 25 c’è un tentativo di fuga di massa. Ne seguono scontri violentissimi e il giorno dopo le misure di contenzione vengono ancora inasprite. Vengono tolte brandine e panche e i materassi sono sistemati per terra. Ai tunisini, stipati all’inverosimile in tende di 20 metri quadri, viene limitato l’accesso ai servizi, cosicché vengono costretti a orinare nelle bottiglie di plastica.
L’inizio della ribellione. Vengono respinte le richieste della Caritas e di altre organizzazioni di poter fornire assistenza almeno ai minori. Nella notte tra il 7 e l’8 giugno la situazione precipita. Un ragazzo chiede di poter uscire dal campo per tornare in Tunisia dove è morto suo fratello. Al rifiuto dei responsabili si ribella e viene pesantemente malmenato. Allora tenta il suicidio ingoiando dei pezzi di vetro e a quel punto scoppia la rivolta. La polizia interviene molto pesantemente. A un certo punto diverse tende prendono fuoco. La Questura sosterrà che sono stati gli immigrati ad appiccare le fiamme, ma i tunisini dicono che l’incendio è stato provocato dai lacrimogeni.
L’intervento della magistratura. L’episodio segna comunque una svolta. La mattina dell’8 la Procura di Santa Maria Capua Vetere dispone il sequestro della ex caserma, ormai devastata, per le indagini sugli incidenti. Il ministero dispone lo sgombero dei tunisini, che vengono distribuiti nei centri di accoglienza di Foggia e di Crotone. Il 24 giugno il Tribunale di Napoli, chiamato ad esprimersi sui ricorsi contro la detenzione, concede ai 200 la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno temporaneo che consente loro di uscire dai centri. E’ un po’ poco per parlare di happy end, ma almeno a Santa Maria Capua Vetere la vicenda non si è conclusa in tragedia. Ma negli altri CIE?
A Bruxelles chiedono “chiarimenti”. La Commissione Ue aspetta delucidazioni dal ministero dell’Interno italiano sul decreto sugli immigrati, con cui Maroni ha sostenuto di aver recepito la direttiva europea 2008/15 che disciplina le espulsioni e il trattenimento coatto per le identificazioni degli extracomunitari. Ma intanto cosa sta succedendo nei 12 CIE sparsi per l’Italia, da Gorizia a Trapani, lo si è capito, appunto, anche attraverso le interrogazioni parlamentari appena illustrate.
La “lettura” di Maroni. Secondo l’interpretazione che della normativa europea dà il ministro leghista, le autorità italiane avrebbero il diritto di trattenere gli immigrati in questi centri per tutti e 18 i mesi che la direttiva fissa invece come termine massimo da raggiungere solo in casi eccezionali. E di questo “diritto” il ministero dell’Interno fa uso alla grande.
Trattati peggio degli ergastolani. Qualche settimana fa, i reclusi nei CIE erano – secondo il Viminale – più di 1800. In realtà, potrebbero essere molti di più. Il dato, infatti, non è verificabile: come è noto, il ministero ha deciso di proibire agli osservatori (i giornalisti, ma in più casi anche i parlamentari) l’accesso alle strutture. Un ergastolano pluriomicida può ricevere la visita di chi si preoccupa che venga trattato umanamente. Ed è sacrosanto. Un tunisino, la cui unica colpa è di essere sceso da una barca a Lampedusa, no.
Illegalità e violenze. Nel silenzio dei CIE, dunque, può succedere qualsiasi cosa: irregolarità, sprechi e abusi nella gestione (che in certi casi è affidata a dubbie società private o ancor più dubbie cooperative), illegalità compiute sulla pelle degli ospiti, negazione di diritti fondamentali, come l’assistenza legale o un’informazione adeguata, maltrattamenti fisici e morali di tale gravità da configurare, secondo il parere di un gruppo di avvocati, una ripetuta violazione dell’articolo 3 della Carta europea dei diritti dell’uomo.
Testimonianze agghiaccianti. La “Repubblica”, qualche tempo fa, ha denunciato quanto accadeva http://www.repubblica.it/static/images/homepage/2010/bg-link.png); background-attachment: initial; background-origin: initial; background-clip: initial; background-color: transparent; background-position: 0px 100%; background-repeat: repeat no-repeat; “>nel centro di Palazzo San Gervasio, in Basilicata 1. Ora arrivano testimonianze altrettanto agghiaccianti su quello che è successo nel CIE di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, nel breve periodo in cui è esistito fino alla chiusura del giugno scorso. In questo caso, alcuni parlamentari del Pd e radicali, grazie anche alle pressioni dell’opinione pubblica e delle organizzazioni umanitarie del Casertano, hanno potuto mettere piede nell’ex caserma “Andolfato” che, nei giorni convulsi degli sbarchi a Lampedusa, era stata adibita a tendopoli temporanea e poi trasformata dal ministero in CIE.
(06 luglio 2011)© LA Repubblica