Oggi, 12 dicembre 2018, ricorre il 49° anniversario della strage di Piazza Fontana. Tra pochi giorni, il 15, ricorderemo la morte di Giuseppe Pinelli, ucciso innocente e gettato da una finestra del quarto piano della Questura di Milano durante un interrogatorio.
Perciò, ci sembra utile condividere le riflessioni che il nostro collettivo ha presentato durante l’introduzione dell’assemblea pubblica con Claudia Pinelli dello scorso 6 dicembre.
PREMESSA: Perché ricordare la storia?
La storia parla al presente. Nel duplice senso: la storia comunica con il presente, ma anche la storia parla usando il tempo verbale presente. Per questo ci interessiamo alla storia, non certo per il gusto di archiviare date, nomi e fatti.
Se la storia parla al presente, a maggior ragione lo fa piazza Fontana. Piazza Fontana non è stata, piazza Fontana è.
E’ una tappa fondamentale della memoria di chi si impegna per cambiare le cose e incessantemente si incontra/scontra con lo status quo. Piazza Fontana è uno snodo critico, di quelli che ci danno indicazioni sul presente e sul modo in cui vogliamo starci.
RIMOZIONE
Osserviamo un generale processo di rimozione dal dibattito pubblico di temi scomodi nella storia, recente e non, dell’Italia. La strategia della tensione, la strage di piazza Fontana, la morte di Giuseppe Pinelli sono tra questi. Se non se ne parla in pubblico (a scuola, sui mezzi di comunicazione), un fatto storico pian piano sparisce perché non sedimenta nella coscienza collettiva di una società. Va da sé che, senza memoria, cresce il rischio di ripetere errori e oppressioni del passato. Ad esempio, in che modo la rimozione di piazza Fontana può aver contributo al pullulare di gruppi neofascisti che osserviamo oggi, anche sul nostro territorio?
COLPEVOLI
Nel 1969 gli anarchici rappresentavano una categoria perfetta da additare come colpevole, in quanto identificata come marginale rispetto alla società perbenista e conservatrice di allora (e scossa dalle proteste giovanili e dall’autunno caldo).
Anche oggi osserviamo una dinamica di costruzione del capro espiatorio per i problemi della società, con la categoria pronta da consumare degli “estranei” provenienti da “fuori”: i migranti.
I colpevoli, i nemici (interni allora ed esterni oggi) servono a compattare i membri integrati della società, a livellare le differenze e i conflitti al suo interno in funzione di una lotta contro il pericolo pubblico e nemico comune.
DEPISTAGGIO
Il potere fin da subito ha cercato di ingannare la società indicando i presunti colpevoli, in modo che mandanti ed esecutori rimanessero nascosti e impuniti.
Nel 1969, però, il gioco non è riuscito: le parte sana della società (giornalist*,attivist*, ‘sincer* democratic*’) ha lavorato da anticorpi, si è rimboccata le maniche e ha messo in campo contro-informazione e mobilitazione, smontando in parte gli obiettivi della strategia della tensione.
L’abitudine al depistaggio, ahinoi, non è passata di moda: dalla morte dell’anarchico Pinelli si è passati al G8 di Genova e a Stefano Cucchi. Settori del potere statale non esitano a depistare la ricerca di verità e giustizia, a sacrificare persone per non assumersi responsabilità scomode, per non ammettere colpe.