La retorica sull’invasione dei “clandestini” e il diritto alla migrazione

La Casa in movimento ha sede a Cologno Monzese, periferia milanese, uno dei molti punti d’approdo finale per diverse generazioni di migranti. Fino agli anni ’80 provenienti dal Sud Italia, dagli anni ’80 in poi, dal Sud del mondo. L’hinterland milanese non esisterebbe se centinaia di migliaia di persone, ad un certo punto della loro vita non avessero deciso di andare a vivere altrove, per cercare delle condizioni di vita migliori. Ora si tratta di riconoscere questo diritto anche a chi, venuto da più lontano, decide di lasciare il proprio paese e tentare di costruirsi una nuova vita, al di là del mare.

Il discorso mediatico presenta i migranti, i clandestini, a tratti come minaccia per la nostra sicurezza e a tratti come vittime in completa balìa di trafficanti senza scrupoli, che sarebbero i veri “colpevoli” del loro arrivo in Italia.
Senza nulla togliere alle responsabilità di chi si arricchisce sul business delle traversate, le motivazioni che spingono a partire sono altre e sono molteplici. Variano in base al paese di provenienza: chi fugge da una dittatura feroce, chi da condizioni di miseria estrema, chi perseguitato per appartenenza etnica, religiosa e chi – semplicemente – cerca una vita diversa, migliore. Proprio come hanno fatto i 24 milioni di italiani che negli ultimi due secoli hanno lasciato il Belpaese per cercare fortuna oltreoceano.
Noi rifiutiamo la divisione tra in migranti “di serie A”, i richiedenti asilo e tra quelli di “serie B”, i cosiddetti “migranti economici”. Tutti hanno diritto ad emigrare, anche senza essere in pericolo di vita.

Il reato di clandestinità ha implicato di fatto una criminalizzazione di tutti gli immigrati e diffuso una paura strisciante che ha reso più difficile ogni rapporto con qualunque istituzione pubblica, ospedali compresi. Il reato di favoreggiamento della clandestinità e la sua applicazione anche ai soccorsi nel canale di Sicilia è un incoraggiamento all’omissione di soccorso, e causa le ultime tragedie che ci siamo trovati a piangere. Ma le vittime del naufragio del 3 ottobre scorso sono solo le ultime 300, su un totale che già conta 19.372 vite spezzate durante la traversata, dal 1988 ad oggi. Non si tratta di un’”emergenza”, ma di cronaca quotidiana.
Nonostante ciò la retorica mediatica sull’”invasione” dal mare è in realtà smentita dai numeri: solo una minoranza dei migranti “irregolari” giunge in Italia via mare. La maggioranza arriva in aereo, con visto turistico, poi lasciato scadere per impossibilità di conversione in permesso di soggiorno.

Il discorso mediatico e pubblico di fondo tratta i migranti come un fastidio, e le politiche di accoglienza come un gesto buono e caritatevole.
La realtà è che i cosiddetti immigrati sono utili al nostro sistema economico.
I dati economici dicono che l’arrivo nel nostro paese di manodopera spesso molto qualificata e disposta a fare i lavori – spesso dequalificati – che gli italiani rifiutavano, ha riequilibrato lo scarto generazionale che si stava aprendo, ha fornito legioni di “badanti” che assistono anziani e non autosufficienti. I lavoratori stranieri hanno pagato 42 miliardi di euro di tasse, servite a pagare pensioni e servizi pubblici a cui nella maggior parte dei casi essi non accedono. La presenza di un bacino di manodopera completamente priva di diritti è funzionale al mantenimento di elevati margini di profitto e di prezzi di mercato competitivi in settori come l’agricoltura, l’industria conserviera, l’edilizia.

Questi temi saranno al centro dell’incontro con Gabriele Del Grande, giornalista free lance e fondatore di “Fortress Europe”, osservatorio sulle vittime della frontiera, che si terrà giovedì 24 ottobre, alla Casa in Movimento.

Laboratorio contro la guerra infinita